Se il nostro outlook è corretto, il tasso di cambio dovrebbe fornire un contributo positivo annualizzato di 1,1 punti percentuali ai rendimenti che gli investitori traggono dai loro investimenti azionari non statunitensi rispetto a quelli in azionario americano in termini di dividendi, utili societari e variazioni di valore degli attivi. Questa previsione è riferita a un portafoglio ampiamente diversificato senza copertura del rischio di cambio.
La nostra previsione di indebolimento del dollaro è uno dei motivi per cui crediamo che gli investitori conseguiranno rendimenti più alti dall’azionario di altri paesi rispetto all’azionario statunitense nei dieci anni che termineranno il 30 settembre 2033.2
L’eccezionale corsa al rialzo del valore del dollaro americano è stata in parte giustificata dalle appetibili valutazioni 10 anni fa e dalle condizioni più robuste dei fondamentali economici degli Stati Uniti nell’ultimo decennio. Crediamo tuttavia che il dollaro si sia spinto troppo nella sua corsa e che la correzione verso la nostra stima di valore equo porterà il biglietto verde a deprezzarsi nel decennio che abbiamo davanti.
I tassi di cambio continueranno riflettere i fondamentali economici nel lungo termine
Note: il nostro indice del dollaro americano e le nostre stime di valore equo sono metriche proprietarie di confronto fra il dollaro americano e un paniere di valute, ponderato per la capitalizzazione di mercato azionario, che comprende l’euro, lo yen giapponese, la sterlina britannica, il dollaro canadese e il dollaro australiano. I pesi delle valute diverse dal dollaro americano nell’indice riflettono i relativi pesi delle regioni e dei paesi rappresentati nell’indice MSCI World che tipicamente scambiano beni, servizi e titoli in quelle valute. Le stime di valore equo sono basate sulla quota di movimenti nei tassi di cambio attribuibili ai differenziali di forza economica in termini di produttività (PIL pro capite a parità di potere di acquisto), tassi di interesse e inflazione.
Fonti: elaborazioni di Vanguard sulla base di dati LSEG (in precedenza Refinitiv) e del Fondo Monetario Internazionale al 30 settembre 2023.
La performance passata non è garanzia di risultati futuri. La performance di un indice non è la rappresentazione esatta di un investimento specifico in quanto non è possibile investire direttamente in un indice.
Le valute possono deviare dal loro valore equo per periodi di tempo brevi o prolungati in ragione di fattori sia razionali che irrazionali. Sul lungo periodo tuttavia il valore delle valute tende a riflettere le condizioni dei fondamentali economici dei rispettivi paesi. Ci aspettiamo che questo continui a essere vero in futuro, il che implica deprezzamento e ritorno al valore equo per il dollaro americano sulla base delle nostre stime per i fondamentali economici nel nostro orizzonte previsionale a 10 anni.
Abbiamo individuato quattro fattori differenziali rispetto agli altri paesi che incidono sul valore del dollaro (si veda il successivo grafico a barre), di cui i primi due sono particolarmente importanti sul lungo periodo:
1. Differenziale di produttività. Un fattore principale dell’apprezzamento del biglietto verde nell’ultimo decennio è stato il maggiore incremento del valore dei beni e servizi prodotti pro capite negli Stati Uniti rispetto a molti paesi concorrenti. Ci aspettiamo che gli Stati Uniti mantengano il vantaggio di produttività a fronte di più alti investimenti pubblici e privati e dell’innovazione tecnologica ma siamo meno convinti che i guadagni di produttività per l’economia americana su base relativa saranno ai livelli di quelli del trascorso decennio e questo dovrebbe frenare la spinta al rialzo per il dollaro.3
2. Differenziale in termini di tasso di interesse reale (ossia al netto dell’inflazione) di lungo termine. Più alti tassi a 10 anni implicano più alti rendimenti attesi e attraggono i capitali degli investitori in cerca di interessi. Nell’ultimo decennio i tassi reali hanno avuto la tendenza a posizionarsi a livelli più alti negli Stati Uniti rispetto ad altre regioni e hanno contribuito alla forza del dollaro. Ci aspettiamo che questa tendenza prosegua seppur a un ritmo più lento.
Fattori che incidono sul dollaro americano:
Ci aspettiamo un deprezzamento del biglietto verde nonostante l’economia degli Stati Uniti si mantenga vigorosa rispetto agli altri paesi
Note: l’indice proprietario di Vanguard indica che il dollaro americano era sottovalutato nel 2013. Noi stimiamo che circa il 28% del 3,1% di apprezzamento medio annuo del dollaro nel decennio conclusosi il 30 settembre 2023 sia stato dovuto ai livelli superiori di produttività e tassi di interesse negli Stati Uniti rispetto a gran parte degli altri paesi. Il ritorno alla media delle condizioni, ossia la tendenza dei mercati a riportarsi alla media correggendo sopravvalutazioni o sottovalutazioni rispetto ai fondamentali — spiega circa un terzo (32%) dell’aumento. Il restante 40% dell’aumento non sembra giustificato dai fondamentali economici e di conseguenza il dollaro risulta sopravvalutato. Ci aspettiamo che il dollaro si riporti sul valore equo nel prossimo decennio per effetto del meccanismo del ritorno alla media. Il contributo storico all’indice e la scomposizione della previsione mediana per il dollaro nei fattori indicati sono basati su un modello a correzione dell’errore.
Fonti: elaborazioni di Vanguard sulla base di dati Refinitiv e del Fondo Monetario Internazionale al 30 settembre 2023.
3. Differenziale dei tassi ufficiali. Le variazioni dei rendimenti sulle obbligazioni a breve scadenza (due anni) riflettono le aspettative sui tassi di riferimento fissati dalle banche centrali. Ci aspettiamo che il differenziale sui tassi a breve fornisca un trascurabile contributo positivo al valore dollaro con il convergere dell’inflazione e dei tassi ufficiali a livello globale stando alle nostre previsioni economiche.
4. Differenziale in termini di tasso d’inflazione. La logica suggerirebbe che l’aumento dell’inflazione in un paese ne dovrebbe indebolire la valuta. Tuttavia in presenza di banche centrali con un modello credibile di perseguimento dell’obiettivo di inflazione, gli studi dimostrano che, a parità di tutti gli altri fattori, rialzi dell’inflazione ne rafforzano la valuta. Questo perché l’accelerazione dei prezzi di beni e servizi implica anche tassi di interesse attesi più alti. Il differenziale d’inflazione con gli altri paesi ha spinto modestamente al rialzo il dollaro negli ultimi 10 ma probabilmente contribuirà in piccola parte al suo deprezzamento andando avanti.
Anche se gli Stati Uniti dovessero sorprendere rispetto alle nostre aspettative, registrando una produttività significativamente superiore o tassi reali di lungo termine più elevati rispetto agli altri paesi nel prossimo decennio, riteniamo che questi fattori non azzererebbero ma controbilancerebbero solo in modo modesto il deprezzamento del biglietto verde che si profila all’orizzonte. Ciò detto, la sopravvalutazione non è necessariamente indicativa di un imminente sell-off del dollaro, soprattutto se l’economia globale è diretta verso la recessione.
Siamo convinti che il dollaro americano correggerà sul lungo termine portandosi sui livelli impliciti nei fondamentali economici. È tuttavia difficile individuare il catalizzatore che ne determinerà l’indebolimento e la sua volatilità potrebbe portare a una brusca correzione o a ulteriori deviazioni rispetto al suo valore equo. Per questi motivi mettiamo in guardia gli investitori rispetto al pericolo di provare ad anticipare i mercati valutari e li invitiamo invece a considerare la nostra previsione come un motivo per cui la sovraperformance americana potrebbe non continuare e di modesto fattore avverso sul lungo termine per i portafogli globali diversificati.
1 La nostra previsione di calo dell’1,1% annualizzato riflette la mediana della distribuzione ottenuta con il Vanguard Capital Markets Model (VCMM) sulla base di 10.000 simulazioni delle variazioni annualizzate a 10 anni del valore del dollaro americano rispetto a un paniere di valute, ponderato per la capitalizzazione del mercato azionario, che comprende l’euro, lo yen giapponese, la sterlina britannica, il dollaro canadese e il dollaro australiano. La discesa del dollaro americano quasi certamente non si dimostrerà lineare.
2 Noi di Vanguard riteniamo che gli investitori dovrebbero accettare il rischio di cambio nelle loro allocazioni azionarie internazionali in quanto farlo riduce la correlazione fra i rendimenti da investimenti internazionali e quelli da investimenti nazionali e copre dal rischio di inflazione nazionale. Reputiamo invece opportuna la copertura valutaria nelle allocazioni obbligazionarie internazionali in quanto in assenza di tale copertura la volatilità per questi investimenti potrebbe salire a livelli analoghi a quelli dell’azionario e ridurre la capacità dell’obbligazionario di ancorare il portafoglio.
3 Per comprendere come il differenziale di produttività tra i diversi paesi incide sul valore delle rispettive valute, immaginate un mondo in cui esistano solo due economie e un solo bene prodotto. Se il costo per produrre quel bene è di 1,50 dollari negli Stati Uniti mentre nell’altro paese costa l’equivalente di 2 dollari, in base alla teoria economica il tasso di cambio deve essere equivalente a $1,50/$2 ovvero a $0,75/unità di valuta dell’altro paese. Se cresce la produttività americana, gli Stati Uniti possono vendere quel bene a un valore inferiore, poniamo a 1,10 dollari. Ipotizzando che la produttività non cambi nell’altro paese, il tasso di cambio di quel paese diminuirebbe a $1,10/equivalente di $2 ovvero a $0,55/unità di valuta dell’altro paese, e il dollaro si apprezzerebbe.
IMPORTANTE: Le proiezioni e le altre informazioni ottenute col Vanguard Capital Markets Model per quanto riguarda la probabilità dei diversi risultati degli investimenti sono di natura ipotetica non rispecchiano risultati di investimenti reali e non sono garanzia di rendimenti futuri. I risultati del VCMM variano ogni volta che lo si utilizza e nel tempo. Le proiezioni ottenute col VCMM sono basate su un'analisi statistica di dati storici. I rendimenti futuri possono avere un andamento diverso dai modelli storici catturati nel VCMM. È importante notare che il VCMM potrebbe sottostimare gli scenari negativi non osservati nei periodi storici nei quali è basato il modello di stima.
Il Vanguard Capital Markets Model® è uno strumento di simulazione finanziaria proprietario, sviluppato e gestito da esperti di ricerca e consulenti qualificati di Vanguard. Il modello prevede le distribuzioni dei rendimenti futuri di una vasta gamma di classi di attivi. Tra le classi di attivi figurano i mercati azionari statunitensi e internazionali, buoni del tesoro statunitensi e mercati dei titoli societari obbligazionari con diverse scadenze, mercati obbligazionari internazionali, mercati monetari statunitensi, materie prime e alcune strategie d’investimento alternative. Il fondamento teorico ed empirico del Vanguard Capital Markets Model è che i rendimenti delle diverse classi di attivi rispecchiano la contropartita richiesta dagli investitori per assumersi diversi tipi di rischio sistematico (beta). Al centro del modello vi sono le stime del rapporto statistico dinamico tra fattori di rischio e rendimenti degli attivi, ottenute da analisi statistiche basate sui dati finanziari ed economici mensili disponibili a partire dagli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso. Tramite un sistema di equazioni stimate, il modello applica un metodo di simulazione Monte Carlo per proiettare i rapporti stimati tra i fattori di rischio e le classi di attivi, come pure l'incertezza e la casualità nel tempo. Il modello produce un'ampia serie di risultati simulati per ogni classe di attivi su diversi orizzonti temporali. Le previsioni si ottengono attraverso misure di tendenza centrale in tali simulazioni. I risultati ottenuti con lo strumento variano ogni volta che lo si utilizza e nel tempo.
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